Pubblichiamo l’omelia di don Davide nella Santa Messa a conclusione del Ministero Sacerdotale nelle parrocchie di Cerro Maggiore e di Cantalupo, celebrata venerdì 17 luglio 2020 presso il Centro Parrocchiale di Cerro.

Questa santa Messa che stiamo celebrando è una Messa di ringraziamento. Di ringraziamento a Dio, che non finisce mai di sorprendere per la bontà con cui continuamente si prende cura di noi attraverso le persone che incontriamo. Personalmente, dimenticherei di certo qualcuno se provassi a citare tutti voi con i quali in questi anni ho condiviso il cammino, perciò mi limito a rendere grazie al Signore per avermi donato, anzitutto, don Roberto, uomo profondamente radicato nel Mistero di Dio e perciò lieto, sempre, in tutto, testimone che Dio è davvero fedele alla Sua promessa, pastore preoccupato che il gregge di Dio a lui affidato non si accontenti di abbeverarsi alle pozzanghere, ma tenda sempre alla Sorgente delle acque, a Cristo, il solo capace davvero di colmare la nostra sete di felicità. Vi consiglio di chiedere il dono di conoscerlo sempre meglio, come ho potuto fare io in questi anni pieni di grande affetto e amicizia. Ringrazio Dio per lui e per il dono dei confratelli sacerdoti: don Pierangelo, don Antonio e il carissimo don Lukasz, amico mio fraterno, con i quali abbiamo condiviso la chiamata di Gesù ad essere guide e pastori di queste comunità cristiane.

A Dio il mio grazie per aver costellato questi anni di tanti amici grandi e piccini: uomini e donne disponibili alla collaborazione, ragazzi e ragazze aperti al nuovo che la grazia di Dio ci ha dato di intuire, persone che attraverso il proprio lieto e generoso servizio sono testimonianza di gratuità e libertà, gente che mostra il volto della Chiesa che è, per sua natura, a servizio di ogni uomo e lo invita ad incontrare Cristo.

Un servizio e una generosità che sono stati evidenti nell’esperienza di questo stranissimo Oratorio estivo che proprio oggi abbiamo concluso. Che cosa abbiamo sperimentato? Che ogni ripartenza è possibile solo grazie a uomini e donne che dicono “sì”, a ragazzi e ragazze che dicono “sì”.

Ora, se questo “sì” fosse limitato a una frazione di tempo, non sarebbe sufficiente a colmare il vuoto di senso che domina la coscienza dei nostri contemporanei, che sembrano vivere come in un “deserto senza strade”, pieno di miraggi e di qualche oasi. Hanno dimenticato Dio e, come gli Israeliti che vagavano nel deserto al tempo di Giosuè, per godere dei frutti della terra, per godere pienamente della vita, hanno bisogno di ripartire dal rapporto con Dio, hanno bisogno di sperimentare nella carne il segno della Sua presenza accanto loro. Il segno, che per gli ebrei era la circoncisione, per noi è un “sì” che dura nel tempo, un “sì” che diventa risposta normale a ogni cosa che siamo chiamati a vivere, un “sì” come posizione di vita.

Ma come può il mio “sì” durare nel tempo? Si può rispondere “sì” solo se avverto una chiamata e la chiamata di uno che mi ama. La Chiesa, questa comunità, ci è data per riconoscere Cristo, per aiutarci l’un l’altro ad avvertire la chiamata di Cristo che ci ama e che si rivolge a noi attraverso le circostanze e i rapporti della vita.

E la Chiesa è anche garanzia che c’è Uno che custodisce il rapporto tra di noi, è certezza che l’amore tra noi non va perduto, perché il nostro legame non dipende da un sentimento d’affetto, pur presente, ma, più radicalmente, dipende dal nostro essere uniti a Cristo attraverso la Chiesa. Al mutare della forma o della distanza fisica, non viene meno la sostanza del nostro rapporto: noi siamo insieme e saremo insieme. Sempre. Puntando al Paradiso. Nel “deserto senza strade”, la strada è Cristo, che ci dona la Chiesa!

Ma all’uomo che fa un uso ridotto della propria libertà – come le vicende anche degli ultimi giorni tragicamente testimoniano – cosa ha da proporre la Chiesa? «Il cristiano propone l’annuncio della libertà perfetta che completa tutti noi» (Balthasar), che colma quel vuoto di senso per riempire il quale ci si agita in tutti i modi: la libertà perfetta è seguire Cristo che ci dice: «Se tu mi vieni dietro la tua libertà non resta inceppata perché hai un compagno di cammino che conosce la strada» (Card. Scola). In ogni azione della Chiesa, e in particolare in quell’opera educativa straordinaria che è l’Oratorio, risuona la grande proposta di Cristo alla libertà dell’uomo: “Tu, seguimi! Seguimi dentro questa compagnia di ragazzi che hanno desideri grandi come i tuoi; seguimi stando dietro a chi ti metto davanti come pastore e guida: fino ad oggi don Davide e da oggi in poi don Daniele”. “Seguimi!”. La libertà è piena, compiuta, perfetta quando obbedisco, quando, cioè, ascolto e seguo. E sulla libertà perfetta fiorisce la felicità.

Proprio nell’obbedienza alla volontà del Signore, che attraverso l’Arcivescovo mi chiede di lasciare queste comunità per una nuova destinazione, sto sperimentando una libertà enorme che apre alla possibilità della felicità. Non nella forma di una spensierata allegrezza, ma una felicità come posizione ultima davanti alle cose, come nota di fondo in tutto ciò che vivo, anche nella fatica, nella sofferenza e nel dolore. A me, sacerdote, è chiesta questa obbedienza, così come a ciascuno è chiesta l’obbedienza nella forma della propria vocazione.

Grazie a Dio per la Chiesa, fatta di carne, di volti, di persone.

Grazie a Dio per il dono del Sacerdozio, estrema esperienza di libertà e di felicità.

Ricordatevi, ve ne prego, di pregare per me Maria, madre della Chiesa.

Seguiamo il Signore Gesù, stiamo attaccati a Lui nella Chiesa, perché essa è per ogni uomo e donna la strada della libertà e della felicità, la strada per una vita che non va perduta.