Premessa

Al termine dell’ultimo dei quattro incontri con i genitori, mi è stato chiesto se fosse possibile avere qualche spunto scritto, per facilitare la riflessione anche di quei genitori che non fossero stati presenti. Ho pensato così di raccogliere in queste pagine i pensieri su cui mi sono soffermato e che ho tentato di comunicare a coloro che, via Zoom, si sono collegati nelle serate di queste ultime settimane di aprile. Spero possano essere d’aiuto a tutti per affrontare questo periodo inedito, che prima o poi finirà, e l’avventura educativa che, invece, ci accompagnerà per tutta la vita.

1. Ci siamo trovati senza olio

Prendo le mosse dal Vangelo che abbiamo letto nella festa di Santa Caterina da Siena, patrona d’Italia e d’Europa (Mt 25, 1-13):

In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai suoi discepoli: «Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio; le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono. A mezzanotte si alzò un grido: “Ecco lo sposo! Andategli incontro!”. Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. Le stolte dissero alle sagge: “Dateci un po’ del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono”. Le sagge risposero: “No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene”. Ora, mentre quelle andavano a comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: “Signore, signore, aprici!”. Ma egli rispose: “In verità io vi dico: non vi conosco”. Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora».

Cinque di queste vergini si sono risvegliate all’improvviso e si sono trovate senza olio. Ma dove avevano la testa? Chissà perché non avevano preso quello di scorta… forse pensavano non fosse così necessario, forse credevano che lo sposo che attendevano sarebbe arrivato prima, forse avevano tante altre cose da fare, tanti pensieri che occupavano le loro menti e avevano dovuto prender su le lampade un po’, così, all’ultimo momento. E ora sono senza olio. Non sono cattive queste vergini, sono solo stolte. Non sono cattive, sono fanciulle che aspettano lo sposo per far festa: sono solo stolte, non hanno considerato tutta la realtà, si sono dimenticate un pezzo.

Forse, oggi molti di noi sono rimasti senza olio per la propria lampada, per la propria consapevolezza di vivere, così la notte, questo dramma angosciante del virus, sembra non avere un appiglio al quale aggrapparsi con sicurezza per poterne decifrare il senso. Tante sono le voci, ma non si vedono sostegni. Siamo rimasti senza olio… e ora? E ora possiamo tornare a prendere sul serio quelle domande che abbiamo trascurato. Non le avevamo lasciate perché siamo cattivi, o perché ci interessino poco il significato e la direzione della vita (il senso, appunto), ma perché avevamo semplicemente dato priorità ad altre cose che ci apparivano più importanti, più immediatamente necessarie. Ci eravamo dimenticati che una casa regge solo se ha solide fondamenta. Avevamo pensato di curare le rughe del nostro volto con un po’ di cosmetici, di coprire le crepe sui nostri ponti con un po’ di stucco e vernice. Non ci eravamo curati delle fondamenta. Ora la situazione può diventare l’occasione per riprendere in mano la questione.

La Liturgia della Chiesa ci sta accompagnando in questo tempo di restrizioni nella vita sociale e, siccome non è un gioco, né una qualche generica commemorazione, ma ha un’efficacia performativa sulla nostra vita, ci educa man mano a una coscienza nuova della realtà.  Il tempo di Quaresima ci ha invitato a tornare all’essenziale, e noi ci siamo lasciati educare da questa necessità di riscoprire le cose più necessarie; ora il tempo di Pasqua ci invita a vedere i germogli della risurrezione di Cristo presenti nella nostra vita. Sono germogli, non alberi fatti e finiti, li scorgi solo se sai che ci sono e ti metti a cercarli.

2. Una coscienza nuova del reale

In questo momento non ci è chiesto altro che venir fuori dal nascondiglio nel quale ci siamo rintanati per paura di scoprire chi siamo realmente, per paura di dare risposta alle domande che aprono in noi la vertigine dell’altezza, il timore dell’ignoto, il desiderio dell’infinito. Chi sono io? Su cosa faccio affidamento? Che cosa mi sostiene? Questo è il grande lavoro che deve impegnarci in questo periodo se vogliamo che serva a qualcosa. Un mio amico, qualche settimana fa, all’inizio di questo isolamento forzato, mi ha scritto: “Chi ci ridarà il tempo che abbiamo perduto?”. Nessuno, caro amico! Non potremo vantar credito nei confronti di nessuno, ogni momento perso è perso. Possiamo solo vivere, dentro le circostanze che ci sono date, così come ci sono date.

E non ci sono automatismi. Paolo Giordano ha scritto: «È un mese che l’impensabile ha fatto irruzione nelle nostre vite. […] Ma a un certo punto finirà. […] Mentre noi, distratti, avremo solo voglia di scrollarci di dosso tutto. Il grande buio che cala. L’inizio dell’oblio. A meno che non osiamo riflettere ora. […] Immaginiamo il dopo, cominciando adesso. Evitiamo che l’impensabile ci colga, ancora una volta di sorpresa». Si sente dire spesso che “ne usciremo migliori”, ma con quale certezza si afferma questo? Chi ce lo garantisce? La sofferenza non migliora in automatico, sappiamo, infatti, che può generare anche una grande rabbia e tanta violenza. La sofferenza sicuramente “segna”, ma non necessariamente “in-segna” qualcosa di nuovo sulla vita. Occorre proprio aprire il cuore, affinché ci “in-segni” a vivere con una coscienza nuova del reale, dei volti e delle circostanze nelle quali ci imbattiamo e ci imbatteremo ogni giorno. Non ne usciremo migliori, insomma, senza aver fatto questo lavoro di comprensione di sé e di ciò su cui realmente si fonda e può fondarsi la nostra vita.

Dice il filosofo Umberto Galimberti che «nella condizione insolita in cui ci veniamo a trovare per effetto della sospensione delle nostre attività quotidiane, in questo stato di spaesamento, non è il caso che vi rivolgiate alla vostra interiorità, che di solito trascurate, per sapere chi siete? Che cosa fate al mondo? Che senso ha la vostra vita? […] Queste riflessioni sarebbero davvero un passo avanti per essere davvero uomini, perché vivere a propria insaputa non è esattamente il massimo per la propria autorealizzazione e per trovare un senso alla propria esistenza». È in gioco il nostro essere “davvero uomini”. Non lo saremo quando troveremo tutte le risposte, ma quando cominceremo a porci le domande giuste, perché l’alternativa è “vivere a propria insaputa”. Impressionante. Solo chi si pone la domanda può trovare una risposta esaustiva a ciò che cerca.

3. Il nostro desiderio più vero

La parola di Dio ci ricorda che «se diciamo di non avere peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi» (1Gv 1,8). Cioè, la scoperta della verità di noi stessi è ostacolata dal peccato, dal nostro peccato anzitutto, e dal condizionamento sociale che smargina, che scivola su piste non essenziali al nostro bisogno, come bene dice il poeta Rilke: «Tutto cospira a tacere di noi, / un po’ come si tace / un’onta, forse, un po’ come si tace / una speranza ineffabile». Il peccato, cioè il non pensare secondo Dio, il non pensare come Dio. La conversione necessaria, infatti, cos’è se non metànoia, cambiamento di pensiero?

Ma perché uno fatica così tanto a riconoscere il proprio peccato, la propria lontananza da Dio? Perché si accampano più facilmente scuse che ci fanno inoltrare in un ginepraio di menzogne con cui coprire altre menzogne? Perché ci fa così paura la luce della verità? Forse perché abbiamo paura del giudizio degli altri, di chi sta fuori, e preferiamo nasconderci come molluschi nella conchiglia: anche se fosse bella, rimaniamo molluschi chiusi dentro. Abbiamo bisogno di uscire dal guscio e rinforzare lo scheletro che ci sostiene, perché non possiamo vivere strisciando nei nostri rifugi, ma vogliamo camminare a testa alta, curiosi dentro il mondo.

I nostri bimbi vedono il nostro modo di vivere, “ci spiano” – come spesso dice il Parroco –. I nostri bambini vedono per cosa batte il nostro cuore, quali sono le cose che ci sono più care. Il motore della nostra vita, ciò che ci spinge ad agire è quanto lasceremo loro come eredità. Quali esperienze sto consegnando loro? Noi possiamo donare solo ciò di cui siamo pieni, nemo dat quod non habet (nessuno può dare quello che non ha), si può donare solo ciò di cui per primi abbiamo fatto esperienza, così come ha fatto Filippo incontrando Natanaele: «Vieni e vedi» (cfr. Gv 1,43-51). Vieni – non vai! – e vedi, cioè “fai tu esperienza, figlio mio, di quello che ha messo in movimento anche me”.

Possiamo essere tentati di affidare l’educazione a un insieme di regole oggettive che non rivelano nulla di bello, che non mostrano alcuna convenienza nel seguirle. Ma chi potrebbe mai gioire di una vita piena di regole che tengono distanti dalla propria piena realizzazione, di regole magari anche positive, ma prive di un volto da seguire? Noi che teniamo alla gioia dei nostri figli, cosa proponiamo loro come senso per cui vale la pena vivere e finanche morire?

In gioco ci siamo noi, anzitutto, noi che siamo invitati oggi più che mai a volgere lo sguardo a ciò che più conta, occorre prendere in esame veramente ciò che dentro di noi urge: il nostro desiderio di felicità, forse sommerso, col tempo, da tanto belle quanto inefficaci frasi volte a smontarne la possibile realizzazione.

A questo proposito, sant’Agostino scrive nei Trattati: «Se una cosa è oggetto di desiderio, ancora non la si vede, e tuttavia tu, attraverso il desiderio, ti dilati, cosicché potrai essere riempito quando giungerai alla visione. Ammettiamo che tu debba riempire un grosso sacco e sai che è molto voluminoso quello che ti sarà dato; ti preoccupi di allargare il sacco o l’otre o qualsiasi altro tipo di recipiente, più che puoi; sai quanto hai da metterci dentro e vedi che è piccolo; allargandolo lo rendi più capace. Allo stesso modo Dio con l’attesa allarga il nostro desiderio, col desiderio allarga l’animo e dilatandolo lo rende più capace. Viviamo dunque, o fratelli, di desiderio, poiché dobbiamo essere riempiti». Davanti alla sfida enorme che ci troviamo davanti, solo prendere sul serio il nostro desiderio più vero, ci dice Agostino, allarga il nostro animo per accogliere un Senso più grande di noi, che non ci è dato di possedere, ma che possiamo accogliere come dono.

4. Siamo fatti belli

Ma è possibile non avere paura? Non tremare davanti alla gravità della vita e, in particolare, di questo momento storico? È possibile riaversi dal proprio torpore, tornare a vivere dopo il peccato? Sì, perché «abbiamo un Paràclito presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto» (1Gv 2,1), continua la prima Lettera di san Giovanni. Ma serve uscire dal guscio per lasciarsi abbracciare e farsi sostenere nel cammino, come la mamma che sostiene il piccolo che sta imparando a camminare fino a lasciarlo andare da solo (come van Gogh ha  immortalato magistralmente nel dipinto “I primi passi”).

Non è che davanti al peccato, all’errore, “fa niente!”. I miei peccati costano il sangue di Cristo. Ma Dio perdona e consola. Il nostro modo di educare – che poi è amare fino in fondo questi piccoli che abbiamo davanti – se vuole essere vero dovrà tendere al Suo (è interessante, in questo senso, andare a rileggere la parabola del figliol prodigo al capitolo 15 del Vangelo secondo Luca): Dio ci indica continuamente, con la propria vita donata e il segno della Creazione la verità di noi, il bene e la bellezza di cui e per cui siamo fatti.

In questo senso, è interessante un passaggio della Commedia di Dante a cui mi ha chiesto di porre attenzione una mia giovane amica che studia al liceo classico. Nel capitolo XVI del Purgatorio, Dante inizia ad interrogare l’anima purgante di Marco Lombardo con queste parole: «O creatura che ti mondi / per tornar bella a colui che ti fece». Noi siamo fatti belli – è bene ricordarlo quando abbiamo davanti i nostri bambini e chiunque altro che abbia commesso qualche colpa, noi stessi compresi! – e camminiamo in questo mondo verso un Padre che non vede l’ora di abbracciarci!

5. Alzare, insieme, lo sguardo alle stelle

Ma come noi facciamo esperienza di questa vicinanza di Dio, del perdono dei nostri peccati, della possibilità concreta di ricominciare? Attraverso la Chiesa, la Compagnia dei credenti nel Signore Gesù, guidata dal Santo Padre, dai Vescovi e dai loro collaboratori. La Chiesa è il prolungamento storico della presenza di Cristo tra noi, è il luogo concreto in cui noi possiamo sperimentare la presenza di Dio tra noi. Nelle call su Zoom che abbiamo fatto nell’ultimo periodo mi è stato facile notare come la Chiesa sia realmente fatta di quei volti che avevo sullo schermo, chi più simpatico, chi meno, chi più saggio, chi meno, e tra quei volti c’è anche il mio. Per questo proponiamo spesso occasioni di incontro tra famiglie o per i bambini, per i giovani o per i ragazzi delle medie e gli adolescenti, così come attività di teatro o sportive o di altro genere: perché si manifesti la natura profonda del nostro stare insieme: noi siamo la Chiesa, noi portiamo nel mondo una Presenza sempre nuova che è quella del Risorto, che ci rende nuovi nell’affrontare le situazioni di sempre così da renderle occasioni.

La Chiesa è inizio e possibilità di sperimentare la salvezza che Gesù Cristo porta, quella salvezza che desideriamo, perché la salute, ci siamo accorti, è troppo fragile da sola. La salvezza ha a che fare con il senso della vita, con il senso anche dell’essere “in salute”. Per questo allo storpio risanato Pietro e Giovanni non donano solo la guarigione, ma anche una nuova Amicizia, un popolo con cui “camminare, saltare e lodare Dio” (cfr. At 3,1-8).

Non ci è chiesto di metter da parte la nostra umanità, pur se fragile e povera, ma di riconoscere e seguire Cristo proprio dentro le dinamiche più normali della nostra vita: gli affetti, il lavoro e il riposo; spazi quanto mai fragili in questo momento, quanto mai bisognosi di fondamenta stabili. Cristo parla a me, a te, concretamente oggi e ci invita ad alzare lo sguardo a Lui attraverso la Chiesa, come ci è mostrato da Pietro e Giovanni che allo storpio fuori dal tempio, prima e affinché potessero compiere il miracolo dissero: «Guarda verso di noi!» (cfr. At 3,1-8).

Cosa vuol dire educare i nostri bambini se non invitarli ad alzare lo sguardo alle stelle che noi per primi guardiamo, alle cose per cui vale la pena vivere, ai desideri che diventano il motore delle imprese più grandi, che sono quelle che rendono l’uomo bello quanto Dio l’ha fatto?

Occorre che anche noi diventiamo un po’ come il Battista, che indica l’Agnello di Dio (cfr. Gv 1,35-42) a Giovanni e Andrea. Essi seguirono Gesù per la voce di quel testimone prezioso; rimasero presso di Lui perché affascinati da quell’Uomo – è Cristo che attrae! –; infine, furono talmente pieni di gioia, che non poterono tenerla per sé, ma vollero coinvolgere tutti in essa, in questa gioia che è la scoperta di una nuova Amicizia tra loro e con Gesù.

Che anche ai nostri bambini accada questa gioia sarà possibile se noi per primi ne faremo esperienza. Attraverso la Chiesa.

don Davide
Giovedì 30 aprile 2020

Prossimi incontri in programma

  • nessun incontro in programma

Materiale utile

Clicca qui per andare all’articolo.